Ode a Ferea.

E bbbbotte in omaggio al suo Re.

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    Night Town. Palazzi barocchi appesi a grattacieli in rovina come masse tumorali, cemento armato mischiato a marmo unito ad acciaio. Nugoli di gargoyle dall'aria ottusa intenti a dar la caccia a qualche corvo, e vuote armature nere intente a pattugliare le strade del nuovo quartiere della Notturna. Niente a che vedere con la piccola bettola di Frogg e la strada per raggiungerla, unici punti di Night Town che Boide era solito da qualche tempo visitare - per affari, ovviamente: l'erba diavola non la si trova mica per strada. Lo stesso Boide che per il resto del tempo tendeva a dimenticarsi l'esistenza di quell'oscura metropoli. Solo ora, che si ritrovava in quella zona così differente e così unica, si rendeva conto di quanto avesse sempre sottovalutato quella città. La sua importanza come simbolo, la varietà della vita che la animava, persino le sue semplici dimensioni. E dire che, ad occhio e croce, doveva essere pure più grande della stessa Mallet...
    Il suo sguardo, quasi meravigliato, incontrò l'oggetto della sua ricerca mentre vagava da una parte all'altra di quello scenario da botta di lsd: una cattedrale nera.
    Era stato Jake a mettergli la pulce nell'orecchio: disordini a Night Town. Guerre territoriali, lotte per la supremazia di qualche chilometro quadro di città maledetta, incubi che si squartavano e divoravano a vicenda nella speranza di diventare più forti e di affermarsi rispetto a tutti gli altri. Nulla di nuovo, e soprattutto nulla che avesse a che fare con lui: il suo lavoro era proteggere gli umani da quelle creature, non impedire che si ammazzassero a vicenda.
    Era stato un nome, però, ad attirare la sua attenzione: Sunshine. L'aveva già sentito, ne era sicuro. La sua pessima memoria per i nomi, soprattutto se maschili, era leggenda quanto la sua rapidità e le sue folgori...ma se non ricordava il volto di colui che portava quel titolo, certamente ricordava la sensazione che gli aveva lasciato. Aveva combattuto con lui, ne era certo. Ed era stato un evento abbastanza degno di nota da incidere quella persona nella sua memoria, il che non era affatto cosa da poco.
    Ma a che serve un amico virtualmente onniscente se a non a risolvere situazioni simili? Una bottarella di astrazione cyberspaziale - o quel cazzo che era, non c'aveva mai capito nulla - in cambio di una birra bastò a Jakeper ottenere le risposte che B cercava. Frederick Sunshine, detto Freddy: il nuovo Re di Night Town, insediatosi dopo aver detronizzato a morsi il suo predecessore. . Colui a cui Boide aveva affidato le lame dimensionali conosciute come Hattori Hanzo, un paio d'anni prima. Ex studente della Scuola.
    Era incredibile, a volerci pensar bene, ma era praticamente la prima volta che succedeva qualcosa del genere: nessun Cacciatore aveva mai ceduto al Lato Oscuro della Forza. In fin dei conti, perchè farlo? La Scuola dava tutto ciò che si poteva desiderare: casa, soldi, fama, potere, amici. A cercarlo bene, anche amore. Certo, forse con Boide era stata molto più generosa che con molti altri...ma proprio per questo, gli risultava impossibile comprendere il gesto di uno studente che ai tempi gli era parso abbastanza promettente da convincerlo a donargli una delle migliori armi che gli fosse mai capitata sotto mano. E se già faticava a comprendere coloro che se ne andavano dall'Isola e che partivano verso nuovi lidi o si rifugiavano in altre dimensioni e via dicendo...cogliere l'attrattiva che un posto di prestigio a Night Town poteva avere era completamente al di la delle sue facoltà.
    Dunque, per una volta, non era li per combattere. Gli incubi che strisciavano, volavano o marciavano attorno a lui mentre attraversava le vie del quartiere appena ristrutturato per quanto ne sapeva non avevano torto un capello a nessuno, e di conseguenza la loro esistenza non era affar suo. Forse l'Electric Tongue che stringeva nella mano destra e le pistole infilate nel retro dei jeans mandavano un messaggio sbagliato, doveva ammetterlo, ma non se l'era sentita di avventurarsi per quelle strade senza compagnia. E così, mentre il sole rosso del tramondo tingeva di vermiglio le assurde strade di Ferea, Boide balzava da un palazzo all'altro - da sfrazosi monumenti gotici a decadenti strutture in cemento - avvicinandosi alla mostruosità nera che era il centro di quel delirio architettonico. I corvi cinerei, così come i golem di metallo nero ed ogni altro strisciante abitante di quell'angolo della Notturna si tenevano lontani da lui, consci di ciò con cui avevano a che fare dal momento che finalmente in quelle strade il Cacciatore non aveva bisogno di trattenere la propria forza e le aveva concesso il permesso di manifestarsi, di schiacciare chiunque osasse avvicinarglisi troppo, non per ridurlo all'impotenza mentre lui sceglieva come finirlo ma per suggerirgli di non avvicinarsi oltre e di non cercare grane, perchè appunto non era li per combattere: era li per capire.

    Il portone della Cattedrale era immenso, ciclopico quanto le dimensioni della struttura stessa avrebbero lasciato supporre. Ci fosse stato qualcuno ad ascoltare avrebbe scherzato sul tipo di compensazione che una struttura del genere sottintendeva, ma non avendo altra compagnia che quella dei freddi strumenti d'acciaio che s'era portato dietro ed esseri che avrebbero volentieri divorato le sue carni e la sua anima si limitò a ridacchiare tra se e se. Non ricordava molto del ragazzo che era li a cercare, se non l'ottima impressione che le sue capacità gli avevano lasciato...e per quanto per lui fosse una cosa stupida, il fatto che avesse reclamato per se una fetta di quella città voleva comunque dire che aveva avuto un occhio mica male. In caso la sua carriera di Cacciatore fosse destinata al declino, avrebbe sempre potuto contare su un posto come giudice a Mallet's got talent.
    Ma bando alle ciance! Boide alzò la mano sinistra, non impegnata a reggere armi al contrario della sua collega, e picchiò tre volte il pugno sul gigantesco uscio. Il metallo nero risuonò solennemente ad ogni colpo, risuonando lugubre per le strade scarlatte, .
    Mostrare rispetto, bussando invece che entrare e farsi strada a spadate verso la sala da cui proveniva l'impronta energetica che sapeva appartenere a Sunshine ma che stentava a riconoscere, gli sembrava un ottimo modo di iniziare quella che nella sua testa doveva essere nient'altro che una pacifica conversazione - per quanto pacifico potesse mostrarsi qualcuno che aveva deciso di rendersi noto con il nome di "Re Bestia". Rimaneva solo da vedere come Susnhine avrebbe risposto alla cortesia del Cacciatore - e sperare che almeno fosse in casa.
    Cosa fa un Re, quando un Dio bussa alla sua porta?

    Edited by boide12 - 10/6/2015, 14:38
     
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    Quello che fa in qualunque altra situazione.
    Tace e sorride, mentre il mondo si esibisce in suo onore.

    E' qui.
    Me lo avevi predetto.
    Ti ho forse mai mentito?
    Si,


    L'Oracolo tace, il viso sfregiato dal pensiero che ha attraversato la mente del suo Signore. Un singolo ricordo, brucia per entrambi, ma lei non si perdona l'errore. In silenzio, si alza dal suo fianco e si incammina. Verso la Cattedrale, verso la Porta, verso Dio.
    Non esiste in questo mondo, perché lei è questo mondo. Per questo Lancia Splendente non vede nulla né sente, la porta, spalancata dalle mani rosse, gli sembra aprirsi da sola. Dentro, il Tumore Maligno che è quell'incubo, è ancora più forte che all'esterno.
    Candele, arazzi, armature vuote, mobili in ferro vecchi di almeno un secolo rispetto a qualunque oggetto nella vicina città. E poi bestie. Sono ovunque, creature ferali abominevoli, testa di lupo infilzata sul busto di un uomo rovesciato e zampe di insetto per arti; giganti nudi, piastre d'armatura che germogliano dalla loro carne come orrendi fiori neri; corvi deformi, grandi quanto un uomo e con zampe sottili e lunghissime, il volto nascosto dai bubboni purulenti che vi sono cresciuti, e altri, tanti altri.
    Alcuni osservano Lancia Splendente da lontano, alcuni ringhiano annusando l'aria al suo passaggio, qualcuno forse vorrebbe attaccarlo e ruggisce versi senza senso, ma tutti hanno troppa paura e, uno ad uno, si allontanano, o addirittura si inginocchiano mentre passa. Esattamente come gli è stato insegnato a fare.
    Una ben misera corte, il Re ne è consapevole, ma perché sprecare gli abitanti di quella terra di cui ha preso possesso? Scacciarli o sterminarli sarebbe stata una perdita di tempo. Sottometterli, con la forza, la violenza e la paura, gli ha donato molta più soddisfazione. E ora li lascia liberi nella sua cattedrale, a cercare prede, ad accogliere gli ospiti, a strisciare ai suoi piedi ogni volta che li incontra.
    Lancia Splendente probabilmente vede l'energia di ognuno di loro, luce senza colore che striscia nei loro corpi, e si accorge che sono tanti, che sono feroci, e che sono terribilmente deboli. Alcune energie svaniscono, divorate da altre, mentre alcune semplicemente si spengono in silenzio.
    Non vede quella dell'uomo che sta cercando. Ma forse gli basterebbe accennare qualche passo alla cieca. Si accorgerebbe di come i corridoi, le stanze, inizino a cambiare forma, a muoversi, a indicare una direzione inequivocabile. Una sola strada, dritta, non ha neanche bisogno di salire un singolo gradino, eppure alla fine, quando spalancherà l'ultima porta e vedrà un enorme trono davanti a se, si accorgerà di essere all'ultimo piano della cattedrale e di avere un balcone alle spalle. Ma si sa, lo spazio non esiste se il Re gli comanda di non esistere.
    E una volta avvicinatosi a quel trono, in un lampo, la realtà si disfa.

    Danzano, ballano, cantano, bevono da barili di sangue bollente.
    Una minuscola spaccatura nella realtà. Non una dimensione, certamente, nulla a che vedere con la Sorgente del Fulmine, dove comanda Lancia Splendente. Solo un piccolo strappo, una finestra. Color cenere.
    Davanti a lui, attorno a lui, una landa desolata fatta di cenere e lapilli. Cavalieri vuoti, spettri neri, camminano in silenzio tra le dune, ospiti antichi di quel luogo, forse da prima addirittura del Re. Non degnano Dio di uno sguardo, continuano a camminare e lo lasciano avanzare. Verso il luogo da cui sente provenire, inequivocabilmente, la maggior concentrazione di energia. E musica. E grida.
    Un'enorme arena di pietra nera, con spalti erosi dal tempo. Al suo interno, si svolge un Baccanale. Sulla cenere, demoni e mostri si aggrovigliano, alcuni con sembianze bestiali, altre umane. Si mordono, si uccidono, si scopano, senza distinzione. Poco distante, altri ballano e cantano. Qualcuno declama dei versi, un bardo dalle sembianze di ragno, con 7 arti troppo lunghi e la testa allungata e senza occhi.
    In cima agli spalti, il Re. Ancora nelle sembianze di uomo, giace sul trono, una coppa vuota gettata ai suoi piedi, un abominio di tentacoli e lame, incastrate su un busto vagamente femminile, gli siede affianco e gli carezza il braccio con gli arti da mantide. Il Re a malapena sorride, ha gli occhi chiusi e sembra ascoltare una voce che sente solo lui.
    Una voce rossa, proveniente da un'ombra.
    Eccolo
    E i suoi occhi si aprono.
     
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    La porta si aprì da sola, invitandolo ad entrare...ma non c'è nessuno ad accoglierlo - e no, non era disposto a considerare quel branco di diavoletti come "qualcuno". Il primo impulso fu quello di mandare al diavolo cortesia e bon ton e rivoltare quell'edificio come un calzino, tirando fuori quel dannato stronzo dalla tana che s'era scavato...ma doveva stare calmo ed essere zen, o avrebbe finito per accumulare cattivo karma. E cattivo karma, in quel momento, avrebbe potuto voler dire ritrovarsi a dover fulminare quello che per lui era solo uno studente in vena di bischerate.
    Ed allora meglio stare al gioco ed attraversare quel mutevole corridoio mentre la struttura stessa della cattedrale si deformava al suo passaggio, mostrandogli un'unica e sola via percorribile, ed i demoniaci abitanti di quell'obbrobrio metallico pessimamente arredato si dividevano in due ali ai suoi lati interrompendo ogni deplorevole attività per omaggiarlo o ringhiargli addosso a capo chino. Ed il suo sguardo si faceva sempre più diffidente e cupo, non per timore di quelle creature - nonostante il loro numero soverchiante, il fatto che nessuna di loro sarebbe sopravvissuta ad un singolo movimento della lama che stringeva era chiaro a lui quanto a loro stesse - ma per paura che la sua "missione" si potesse rivelare un fiasco. Come capire, dopotutto, qualcuno che aveva bisogno di tutto quello? Qualcuno per cui una chiesa gotica in metallo abitata dagli scarti dei mostri di un fumetto giapponese di quelli malati era evidentemente più importante di tutto ciò che la Scuola offriva? Diavolo, fosse almeno stato uno di quelli bravi a mettersi nei panni altrui. Soul ci sapeva fare con quella roba, non lui. Ma ormai era probabilmente troppo tardi per tirarsi indietro, per non contare la figura da mentecatto che avrebbe rimediato girando i tacchi...aveva pur sempre una reputazione da mantenere, soprattutto da quelle parti.
    Nemmeno si accorse, immerso nei propri pensieri, di esser giunto alla fine di quel corridoio. Non avrebbe nemmeno saputo dire se l'aveva percorso normalmente o se gli istanti della sua camminata erano stati compressi dal suo potere, e l'aria innaturalmente ferma di quel luogo e l'assenza dei demoni che l'avevano accompagnato fino a poco prima non lo aiutavano in quel senso. Ma a poco importava, mentre finalmente comprendeva - almeno in parte - il motivo di quella scarpinata, e del palazzo stesso in cui era rinchiuso: alla faccia del desiderio di privacy...quella stanza vuota era un portale. Per dove, non ne aveva idea.
    Non si pose nemmeno il problema e, dopo una breve pausa, riprese a camminare verso il trono. Solo all'ultimo secondo, mentre la luce già lo avvolgeva e sentiva sulla pelle la pressione delle distanze intergalattiche che stava per percorrere, una vocina - stranamente simile a quella di una certa vampira - gli sussurrò di fare attenzione...ma l'orgoglio la scacciò via come fosse una mosca molesta, nonostante il piccolo brivido che gli risalì la sua spina dorsale. Pessimo inizio e pessimo presagio. Se tutto fosse andato in vacca, non avrebbe potuto lamentarsi di non esser stato avvisato.

    Il posto in cui ricomparve era incredibile, e molto più suggestivo di quello che aveva appena lasciato. Sembrava quasi l'arena del boss finale di un videogame, ma s'accorse che oltre alla struttura metallica innanzi a lui ed alle dune di cenere che la circondavano...non c'era nulla, li. Una piega dimensionale della quale riusciva chiaramente a vedere i confini, un brufolo grigio sul volto della creazione...ed avrebbe anche trovato divertente il dilettantismo con cui il tutto era stato costruito, se solo non avesse iniziato ad esser davvero nervoso. Quanta strada avrebbe ancora dovuto fare, prima di poter parlare a quel principino presuntuoso? Non era interessato all'orgia di demoni in corso all'interno di quell'anfiteatro più di quanto non lo fosse stato al tour guidato della sua dimora. Ed ok la cortesia e le buone maniere ed il fatto che fosse pur sempre stato lui ad aver bussato alle porte di casa sua...ma non aveva intenzione di prestarsi a quel gioco un secondo di più.
    Nemmeno il tempo di completare il pensiero ed un fulmine piovve al centro esatto dell'arena con un rombo di tuono, interrompendo i demoni ed i loro affari e sollevando un piccolo polverone; Ed ancor prima che lo spettro frastagliato della luce della folgore si fosse estinto sulle retine dei presenti la voce del Cacciatore si stagliò forte e chiara fra i demoni, ed i suoi occhi sbucarono dalla nube di cenere piantandosi in quelle di colui che, una volta, era conosciuto come Frederick Sunshine.
    Allora...chi devo fulminare per un drink?
    Le braccia larghe, in un gesto più teatrale che spavaldo o minaccioso. L'arma sempre stretta nella destra ma con la lama rivolta verso il basso, e la pesante cappa d'oppressione spirituale intenta a pressare al suolo chiunque attorno a lui. Non in segno di disprezzo o offesa ma come semplice richiesta d'attenzione...perchè lui non aveva bisogno di troni o cattedrali, per convincere altri ad inginocchiarsi al suo cospetto.
     
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    Alcuni si inginocchiano davanti a te. Altri si inginocchiano davanti al mio nome.
    Tu sei realmente un Dio, Lancia Splendente. E gli dei vengono adorati e venerati.
    Ma è al Re che chiunque bacia i piedi.



    La presenza di Lancia Splendente travolge l'arena. L'Oracolo non fa in tempo ad accostare le labbra all'orecchio del Re per sussurrargli che è entrato, perché lui è già in mezzo a loro.
    Sunshine distoglie gli occhi dal pavimento, che così spesso attira la sua attenzione, molto più di qualunque essere vivente, e posa lo sguardo su di lui. Lancia Splendente cammina tranquillo nell'orgia, gli schizzi di sangue che lo circondano non riescono a raggiungerlo, schiacciati al suolo assieme a tutto il resto. La corte deforme viene pressata, compressa, si inginocchia, si distende, soffre, molti tra i vermi che la compongono sentono le ossa frantumarsi e i capillari esplodere.
    Eppure. Non smettono di scopare, non smettono di divorarsi, non smettono di bere.
    Il groviglio diventa solo un'orrida distesa di serpenti, dove i morsi e i baci non si distinguono e forse ogni bacio è un morso e ogni morso è un gesto d'amore, prima di violentarsi e sbranarsi. Ebbri, folli, ubriachi.
    Non il Re, non chi gli sta vicino. Con una lentezza fastidiosamente deliberata, lascia che il suo corpo emani luce rossa e calore. La cappa pulsa al ritmo del suo cuore, si solleva dalla sua pelle come fumo, circonda lui e quei pochi fortunati nel suo raggio d'azione, incontra l'aura di Lancia Splendente e senza esitare la solleva. Gesti lenti, gesti misurati, eppure in un attimo la pressione diventa insopportabile, l'assurda forza di entrambi si scontra in una gara dove vince solo chi spinge più forte. All'abominio tentacolare, seduto sulla gamba del Re, esplodono i timpani e con un grido acuto si accascia a terra. Sunshine non la guarda.
    Sunshine non la sente.
    Sunshine guarda e sente solo Lancia Splendente.
    Con altrettanta lentezza si alza dal trono e si avvicina al bordo del palco, su cui poggia le braccia, con ostentata tranquillità.
    Sei sempre mio gradito ospite, Lancia Splendente
    Nessun calore, nessun riconoscimento, nessuna emozione. La sua espressione è inerte.
    Una cosa si può ben dire del Re Bestia: che sembra non provare mai nulla.
    Prego, accomodati, serviti. Mangia, bevi, prendi pure una donna, o un uomo, come ti aggrada.
    Solleva la mano destra, il palmo verso l'alto, la sinistra snuda l'artiglio dell'indice che fuoriesce bucando la carne. La lama nera passa sul palmo della destra, una ferita superficiale, ma abbastanza per sanguinare
    Qui abbiamo abbondanza di entrambi. Di quelli, e di animali.
    Il sangue cola oltre il balcone, gocciola sulla sabbia a pochi metri da Lancia Splendente. E' nero, catrame lucido. Con un tremolio, si muove, si gonfia, prende forma, in battito di cuore e il sangue del Re è una coppa di metallo nero.
    Che abbia da bere. Subito.
    Un groviglio di teste e braccia afferra la coppa immediatamente, la porta sotto la gola di una creatura dal muso di toro e con un solo passaggio di mano la sgozza, senza che questa si opponga. Il sangue riempie la coppa fino all'orlo, poi il Re sbatte gli occhi, e il metallo diviene incandescente. Il sangue gorgoglia mentre viene bollito, la bestia di teste e braccia urla di dolore mentre la sua mano si ustiona, ma anche così, strisciando, poggia il bicchiere a terra, a pochi passi da Lancia Splendente. Avvicinarsi di più l'avrebbe uccisa e lo sa bene.

    Dimmi che non lo stai pensando davvero
    ...
    Mio Re... ti imploro... dimmi che non stai davvero pensando di batterti

     
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    Lancia splendente? Bel nome! Molto molto figo. Non aveva mai sentito nessuno chiamarlo così, e vista la scarsa simpatia che aleggiava nei suoi confronti tra i cacciatori meno esperti - e più numerosi - dubitava che sarebbe riuscito a fare in modo che si diffondesse. Lily poi trovava spassoso riferirgli i sopranomi che gli affibbiavano, sottolineando in modo particolare i riferimenti alla sua statura o alla sua velocità - vantaggiosa in battaglia ma, secondo molti, svantaggiosa a letto - e vederlo andare su tutte le furie, con tanto di visita alla Palestra e pestaggio di qualsiasi novellino fosse così disgraziato da trovarsi sulla sua strada...dunque era sicuro, nessuno nella Scuola s'era inventato quel nome; doveva essere opera di quel Sunshine. E sarebbe rimasto volentieri a farsi raccontare le origini di quel nome azzeccatissimo - per quanto non avesse mai usato lance in vita sua - ed epico ed a domandargli se avesse assegnato titoli così swag anche ad altri oltre a lui...se la cosa non avesse iniziato a farsi disturbante. B non era di certo uno facilmente impressionabile...ma la visione di quegli esseri e della loro disperata frenesia lo stava mettendo a disagio. Facendogli stringere la presa sull'Electric Tongue ed instillando in lui lo strano, ma pressante desiderio di adoperarla...e porre fine a quelle pietose esistenze. Prendendo con astio ciò che, in quanto Cacciatore, era suo di diritto...
    No. Non sarebbe stato professionale. E dopotutto, lui era li per un altro motivo e per quanto ormai gli sembrasse quasi stupido, era intenzionato ad andare fino in fondo.
    No, grazie. I miei gusti sono decisamente più...normali.
    Ok, aveva pur sempre passato mesi a scoparsi Danae, ma i demoni ed i mostri attorno a lui avevano curve decisamente meno invitanti. Tentacoli e parti animali decisamente non facevano per lui. E per quanto lei non fosse in realtà tanto diversa da loro se non per la scelta di celarsi dietro un abito umano...l'inganno funzionava fin troppo bene, quando al contrario la corte di Sunshine non sembrava provare alcuna vergogna per il proprio vero aspetto, e nessun desiderio di nasconderlo.
    Meno tentacolosi, diciamo. Ed a tal proposito, son venuto proprio per farti una domanda.
    Non aveva bisogno di un Oracolo al suo fianco per capirlo: andarsene da li pacificamente non sarebbe stato facile. Per quanto le parole del suo ospite fossero state cordiali ed i suoi modi affabili, nei limiti che la sua natura gli imponeva...la sfida aleggiava nell'aria. L'aura respinta ad ondate di Forza, il sangue offerto in una coppa di quel metallo - troppo pieno della forza vitale del suo creatore per esser manipolato dal magnetismo - , lo sguardo stesso di Sunshine...una fibra dopo l'altra, il guanto della sfida veniva tessuto. E non mancava molto al momento in cui quell'essere l'avrebbe finalmente scagliato. Eppure, pur avendo capito che l'unico linguaggio con cui l'altro aveva intenzione di comunicare era quello della violenza, Boide represse l'istinto di espandere per davvero la sua aura e demolire quell'arena assieme al suo architetto e continuò a parlare. Ignorò il calice di sangue bollente ed il diavolo strisciante che glielo porgeva, e non distaccò nemmeno per un istante i propri occhi da quelli del sovrano di quel luogo. Aveva una domanda, e pretendeva una risposta. Se avesse dovuto usare le cattive per guadagnarsela, non sarebbe stato certo li a lamentarsene: non s'era inoltrato nei meandri di Nocturna per combattere, ma non avrebbe rifiutato una sfida; soprattutto se aveva una ragione.
    La Scuola...ti stava davvero così stretta?
    Niente tono strafottente, niente sorrisetti o smorfie ironiche: pura e semplice curiosità, sincera e senza doppi fini. Probabilmente era davvero una domanda stupida, la risposta stava attorno a lui ben più eloquente di qualsiasi risposta affermativa l'altro avesse mai potuto dargli...ma se il si era più che ovvio i motivi che vi stavano dietro lo erano meno, e manco a dirlo eran proprio quelli ad interessargli. Non solo per l'unicità di quel caso, ma per ciò che quel Frederick che ricordava rappresentava per lui: un bel ricordo. Una speranza, forse.
    Un nuovo pensiero lo colse come un fulmine a ciel sereno: ai tempi, uno dei suoi chiodi fissi era stato quello di trovarsi un degno avversario tra i Cacciatori. Arrivando a crearselo, se necessario. Che fosse riuscito nel suo intento più di quanto non avesse immaginato? Da quando aveva scoperto il vero potere della sua Voce, dopotutto, non dava più nulla per scontato. Sicuramente gli aveva rivolto qualche parola a riguardo, e che ai tempi nessuno di loro due ne avesse colto le conseguenze era irrilevante...
    Che fosse lui, il vero creatore di quell'arena...e del suo costruttore?
     
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    Non capisce. Non capisce non conosce non sa non comprende
    Come potrebbe? Non conosce alcuna profezia, non ha in se la voce delle streghe, il suo cuore brilla del fulmine. Non capisce come il mio possa bruciare



    Lancia Splendente non capisce. Sunshine non capisce. Abbassa il viso, appoggia il mento sui polsi, resta immobile, sempre più simile ad una statua, mentre lo ascolta. Attento. Assorto.
    Non capisce. Il suo sguardo cede, mostra per un istante incertezza, solo uno, ma subito se ne vergogna e la sua espressione è di nuovo assente. Stretta? Come poteva non esserlo?
    Si risolleva, più grande di qualunque mortale, la forma più simile a quella di un Dio che quella realtà potesse concepire. La veste che gli copre i fianchi e le gambe si scioglie, inizia a vorticare, una macchia d'inchiostro che ricopre la metà inferiore del suo corpo. Solleva una gamba fin dove poco prima poggiava le braccia, con un solo gesto supera il palco e cade nel vuoto. Pochi metri, nei quali il suo corpo esplode, gli occhi del Dio Fulmine possono vederlo, la feroce tempesta nera che si muove sotto la sua pelle, talmente tanta energia da traboccare, a malapena trattenuta in quelle sembianze umane. Esplode, e il Nero che lo compone si muove nell'aria come un tornado prima di comprimersi nuovamente e ricostruirsi. A terra, nell'arena, tesse gambe, disegna braccia, ricostruisce il busto e il viso, ma questa volta il corpo, fino al collo, è avvolto di rosso e nero; una corazza di stoffa e ferro che si muove sulla sua pelle, scorre come cento serpenti, pulsa assieme al suo respiro. Non si è vestito, sembra piuttosto che abbia cambiato pelle.
    E resta immobile, di nuovo dritto, di nuovo avvolto di luce rossa tanto mutevole da sembrare viva a sua volta, si agita, scorre contro l'aura di Lancia Splendente, a tratti sembra provare a morderla, a stuzzicarla. E' inquieta tanto quanto il Re è impassibile.
    Pensa. Come poteva la scuola bastargli? Se l'universo, se il creato, se tutto cioè che è è irrimediabilmente piccolo e fragile, come poteva non esserlo quel luogo? Come poteva fargli comprendere la benedizione e dannazione che era la sua esistenza?
    Schiude le labbra, e la sua voce è stranamente più suadente di prima. La voce di un attore attorno al quale le luci si sono appena accese.
    Sono il Re Bestia, Lancia Splendente, sono Macbeth, il Re Guerriero.
    Compie un passo
    Non c'è nulla in me, niente mi abita al di fuori del Desiderio. Sono figlio della profezia e del destino, le Banshee cantano le mie vittime e le Tre Streghe hanno benedetto la mia venuta nel mondo.
    Non c'è nulla che voglio, perché nulla è abbastanza, per questo voglio tutto

    Una piccola, minuscola, impercettibile enfasi. L'ombra del riflesso di un'emozione.
    Non ho nessun obiettivo, nessun piano, nessuno schema, io sono figlio primogenito dell'Ambizione, io prendo ogni cosa, io conquisto ogni cosa. Questo è il destino della mia nascita, "La vittoria, il trionfo, il dominio totale e incondizionato su ogni essere dotato di vita, questo è l'obiettivo ultimo del Re Guerriero", quando neanche questo placa la sua sete, deve ordinare la distruzione totale... e se neppure questo da pace al suo cuore...
    Tace, e di nuovo la sfumatura di un'emozione negli occhi gialli. Forse incertezza, ma il Re non può avere incertezze. Passo dopo passo, è ora dinanzi a Dio e adesso finalmente lo guarda negli occhi.
    Capisci, Lancia Splendente? Nulla mi è sufficiente. L'intero creato è solo una gabbia neanche troppo grande. La sterminata eternità è un battito di ciglia insufficiente a vivere appieno. Niente e nessuno può placare il desiderio che mi ha generato.
    Perché sono Aras il Conquistatore, ed esisto al solo scopo di portare guerra e conflitto, di oliare nel sangue gli ingranaggi del vostro universo, di creare una nuova strada al cammino del creato lastricandola di cadaveri, di mantenere in vita questo stupido, piccolo, inerme mondo una conquista dopo l'altra.

    Tace. Tutto tace, tutti hanno udito, chissà quanti hanno davvero capito. La mano sinistra, avvolta nel guanto d'arme, viene squarciata dall'interno mentre artigli bianchi prendono il posto delle dita e scorrono lungo la mano, galleggiando nel vortice nero. La destra, ora portata all'altezza del petto, stringe una spada nera, fuoriuscita dal polso. La lama verticale taglia in due il viso di Sunhine, un lento gesto di saluto.
    Non posso fermarmi. L'ambizione è nel mio sangue ed è il desiderio a battermi nel petto. Non posso essere fermato, perché esisto al di fuori del tempo e dello spazio e non potrò mai cessare di esistere finché ci sarà qualcosa da conquistare, uccidere un singolo involucro di carne non può cancellare ciò che sono.
    Il braccio scatta, il polso ruota, la lama sfiora il volto di Lancia Splendente, ma si limita ad essere infilzata nel terreno, dove viene lasciata dal Re. Gesti di un'altra epoca, gesti imparati meccanicamente, filtrati nel suo corpo incarnazione dopo incarnazione. Forse l'ha fatto per un motivo, forse l'ha fatto solo perché desiderava farlo e non significa nulla. Forse vuole che Dio si chieda se sta per essere attaccato o no, per puro divertimento.

    Ho risposto alla tua domanda?

     
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    Un piccolo spasmo colse la guancia destra del Cacciatore, mentre quest'ultimo ascoltava con attenzione quello che aveva tutta l'aria di essere un monologo scritto e recitato a memoria da un abile attore. Un movimento appena percettibile...come se fosse stato sul punto di sorridere, ma avesse cambiato idea. O di ringhiare, magari.
    Le parole di quell'energumeno avevano fatto scattare qualcosa in lui. Non solo quelle: anche tutto il resto, il contorno, l'aura rossa e gli artigli e la spada. Ciò per cui era giunto li...non aveva più alcuna importanza, non ammetterlo avrebbe voluto dire mentire a se stesso. Il Cacciatore serio e composto che era giunto in quel luogo sperduto aveva lasciato posto a qualcosa di molto più simile al vero Boide, calando la maschera e lasciando che il suo vero io si esprimesse senza più facile ironia e principi non suoi come scudo. Non si sarebbe ridotto ad accettare, riluttante, quella sfida: lui la voleva. Non per la Scuola, non per portare quel potente sconosciuto sulla retta via, non perchè avrebbe guadagnato qualcosa da una vittoria o perso qualcosa in caso di sconfitta...ma per se stesso. E cazzo, chiamatelo egoista, ma se c'era una cosa che aveva imparato era che sapeva ciò che voleva. Era da tempo che non provava un così forte impulso a fregarsene di tutto e fare ciò che gli andava di fare, senza star li a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni e tutte quelle belle minchiate da personcina per bene. E forse non era stata tanto la forza di quel suo nuovo avversario, o il teatrino che sembrava aver montato apposta per lui, a spingerlo a quel punto...quanto più l'aver avvertito uno spirito affine.
    Si, hai risposto. Ma...
    Uno che al contrario suo, invece che reprimere quel bruciante desiderio di proclamazione ed incanalarlo solo in battaglia, solo nell'allenarsi, solo nel costante tentativo di fare ogni giorno meno schifo di quello precedente...aveva deciso di viverci dentro, facendone una ragione di vita; sufficiente a sfociare in leggeri deliri d'onnipotenza, a quanto poteva vedere...della serie che a confronto il Dottor Destino era un uomo modesto.
    ...non ti credo.
    Le parole sgorgavano da sole dalla sua bocca, intessute da quelle stesse corde vocali che in un istante avrebbero potuto trasformarsi in armi letali. Boide fece un passo in avanti, passando attraverso l'arma che l'altro aveva conficcato nel terreno; nel farlo, il suo corpo mandò scintille d'un blu brillante che risaltarono in contrasto con l'aura rossa con cui l'altro stritolava lo spazio.
    Dove stanno la vittoria, la conquista, la gloria e compagnia bella...in tutto questo? - sollevò la mano non armata e mosse il dito a cerchio, ad indicare l'ambiente che li circondava. L'arena, i demoni striscianti, e per estensione il palazzo stesso in cui l'ingresso a quella realtà si trovava. Forse, l'intera Night Town.
    Ti sei rinchiuso in un buco in mezzo al nulla ed hai costretto un branco di vermi ad adorarti. Sono questi i limiti della tua Ambizione? Non sei degno delle tue stesse parole.
    Un ultimo passo, misurato, e si fermò. La lama ancora penzolante al suo fianco, lo sguardo fisso in quello di Sunshine per quanto dovesse alzare il volto per farlo. Faccia a faccia, ad un soffio di distanza. Gigante contro nanerottolo, Davide contro Golia.
    Dunque, dimostramelo. Dimostra d'esser degno di quel che dici.
    E finalmente si lasciò andare al sorriso che aveva trattenuto, che tagliò il suo volto in un'espressione di pura gioia mentre saette venivano scaricate a caso attorno a lui e scorrevano sulla lama della sua spada, mostrandone la vera e splendente forma.
    Dimostrami di non aver paura di me.

    Edited by boide12 - 1/9/2015, 08:29
     
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