I pensieri di un vecchio

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    "Si vis pacem, para bellum"

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    Aula Magna, ore 14:05
    Ciò che gli piaceva di più del suo lavoro era l’autorizzazione per andar in giro ovunque volesse senza destare alcun sospetto: sia per il suo impiego che lo richiamava un po’ ovunque, sia per l’aspetto da nonnino che inteneriva (ma in certi sensi inquietava) un bel po’ degli studenti che passavano.
    L’aula magna: mai vista fino a quel momento e di rado utilizzata. Dopotutto i veri e propri cacciatori passavano gran parte del loro tempo ovunque, tranne che all’interno della scuola, lasciando ai bidelli il compito di portare avanti quella lunga ed estenuante Crociata contro gli acari, lasciando il meglio solo nella Sala Allenamenti. Anche se, con l’avvento di quella sala “virtuale” anche la palestra veniva usata di meno, minacciando il lavoro degli bidelli che rischiavano di perdere ogni utilità…
    Ma, per fortuna, certi nemici come la polvere continuavano a tornare.
    Effettivamente molte cose esistevano solo grazie ad altre: come i cacciatori che dovevano la loro esistenza grazie all’avvento demoniaco sulla Terra. A cos’altro servirebbero senza le forze maligne, quelli? A far attraversare le vecchiette? No: gli uomini per certe cose dovevano vedersela da soli, non potevano essere trattati sempre come bambini incapaci e costantemente bisognosi di cure. Se la scuola desiderava che il suo operato facesse effetto doveva aiutare il genere umano a crescere da solo, eliminando unicamente i problemi al di fuori della loro portata, per poi chiudersi la porta alle spalle e lasciare che l’uomo combatta da solo e senza aiuti.
    Ma come la polvere, anche i Demoni continuavano a tornare, erano arrivati perfino ad infiltrarsi nella scuola che li cacciava.
    Ovunque meglio della popolazione asiatica, si direbbe: se non fosse che nessuno batteva cinesi e giapponesi per quei versi.
    Pensieri fatti così, con la calma di chi aveva il tempo per lasciarsi trasportare da futili osservazioni, come se avesse tutto il tempo dinanzi a sé: Boris sembrava tutt’altro. Pareva un vecchio pronto ad andarsene ad ogni passo della lancetta con quella carcassa chiamata corpo e tutto il peso del mondo sulla schiena, eppure stava lì: seduto su una sedia scelta a caso tra le tante altre presenti nell’aula, mentre un velo color della Notte passava a coprire ogni centimetro della stanza, per poi scivolare via leggero portando con sé tutta la sporcizia che prima abitava le fessure e gli spalti, prendendosi tutto il tempo, la calma e il silenzio caratteristiche del buio che quella tela nera rappresentava. Fu quando Boris riaprì gli occhi dopo quel lungo film dei ricordi passatogli dinanzi usando la palpebre come schermo che si accorse che l’Ombra aveva fatto il suo lavoro. Ma, al contrario del solito, non sparì assieme al suo elemento, ma con un’enorme sforzo si alzò come un normale essere umano aiutandosi con il suo bastone da passeggio e camminò, piano, coprendo ogni scalinata che lo dividevano dall’uscita, desideroso di scovare altri posti che i suoi vecchi occhi non ebbero ancora visto, con la calma di chi aveva l’eternità dinanzi a sé…
    E, chissà, forse era proprio così.
     
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